A volte mi capita di riflettere sull’importanza che sempre più viene data a quello che dovrebbe essere invece solamente l’aspetto marginale della musica. Aspetto che poco ha a che fare con il giudizio di un album. Pregiudizi, appunto, che contaminano un sistema sempre più inquinato.
Penso a chi disapprova il Cdr, oppure a chi necessita di un file wave per un ascolto “accurato” e mi chiedo: davvero sei convinto che questi particolari possano cambiare l’ascolto di una canzone? Ti rendi conto che per percepire le differenze tra un file wave e un mp3, oltre ad avere un buon orecchio, dovresti avere anche un impianto audio professionale? Come vorrei farti capire che la differenze che senti quasi sicuramente sono frutto di mera suggestione, ma so che non riuscirei mai a convincerti.
Per non parlare poi della storia infinita del vinile che suona meglio del cd! Siamo così attaccati al feticcio, agli oggetti, alla nostalgia dei ricordi che la mente crea illusioni percettive davvero disarmanti alle volte, storpiando e distorcendo così il motivo fondamentale per cui si ascolta musica: provare emozioni.
Viviamo in un mondo di finte esigenze dove è importante essere belli, alla moda e ricoperti di marchi costosi; normale che si stia perdendo anche nella musica la parte spirituale e immateriale. Come in ogni aspetto della vita d’altronde.
Al giorno d’oggi faccio molta fatica a capire come si muovano le etichette discografiche, sempre meno aperte all’ascolto di materiale “sconosciuto” che potrebbe far loro perdere tempo, trovandosi così nella condizione di cestinare tantissimi artisti meritevoli. Verrebbe da pensare che sia finalmente giunto il momento di auto-prodursi, ma qui entra in gioco chi, molto spesso, si lascia incantare dalle suggestioni del sistema pesando così in maniera diversa un album auto-prodotto e uno rilasciato da un’etichetta importante. Così facendo il musicista andrà sempre alla ricerca di una label e le cose non cambieranno mai.
Si tratta di meccanismi subdoli e ormai oliati che purtroppo risultano frustranti per chi cerca semplicemente di fare quello che ogni artista vorrebbe: far arrivare le proprie creazioni a più persone possibili.
Non penso si possa tornare indietro, anzi, credo che presto arriveremo al punto di rottura. Forse sarebbe il caso che tutti facessimo un passo indietro, cercando di restituire alla musica, diventata ormai un prodotto usa e getta, la dignità di forma d’arte… ma non credo succederà.
Mi piace pensare a KyrsaliSound più che a un’etichetta a un satellite in continua evoluzione, un collegamento tra musicista e ascoltatore che grazie a una rete di connessioni vive e comunica. Un hub per chi ha voglia ancora di respirare musica di qualità, offrendo magari concerti ed eventi musicali.
Non ha più senso ormai parlare solo di label ed è arrivato il momento di pensare in maniera differente… Vedremo con il tempo cosa nascerà da questa crisalide sonora.