KS54 Available Now

Cartridge Grain “Sattwa” is now available in store in digital format.

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“Sattwa” is a selection of improvisations. 
Our approach contemplates two polarities: analog and digital. 
The analog section consists in the amplification, using the pins of two turntables, of different materials, in particular plastic, paper, aluminium, wood. The sounds produced, full of noise, they are exploited for the creation of essential rhythms. also includes two analog synthesizers. 
The digital section contemplates the use of concrete samples elaborated through algorithms of granular synthesis. 
Two material universes, therefore, two different sound spaces that use the same concrete elements and that face paths that seem antithetical and irreconcilable. 
It is therefore not a question of two universes in conflict with each other that seek to emerge but of a single living landscape, changeable and magmatic. 

Thanks

KSND

Drop100721 – A cup of light

New “Drop” recorded and added in my FM Gri Soundcloud page.

Sound equipment: electric guitar, Boss RC-505, Super Ego+, Ocean Machine, OP1.
All recorded dawless on a Tascam Model 12 except for the mastering process.

KS52 Available Now

Marco Giambrone “The limit of the sky” is now available in store in digital format.

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It’s a pleasure to continue the series of publications with the EP of the Italian musician Marco Giambrone. The first time I listened to ‘The limit of the sky’ his music immediately reminded me of the amazing sountracks of some of Inarritu’s movies. It’s an honour to present in the catalogue such a beautiful and intense work. 
About the album Marco says: 
“this work was born to collect some improvisations recorded over the last five years. In the moments of pause from my Silent Carnival project, I used to abandon myself into improvisations based almost exclusively on the use of the guitar. The sonic flow, free from song form, often took me to unexpected places, where I tried to combine the raw sound of distortions with the long, circular resonances of reverbs. 
If I had to describe this record, I would bring the image of me playing behind a window and I try to translate everything I see and the sensations I feel into sound.” 

Thanks

KSND

Drop020621 – Together

A new “Drop” recorded dawless except for the mastering process.

Sound equipment: electric piano, classic guitar, OP1, Boss RC-505, ebow.
All recorded on a Tascam Model 12.

KS51 Available Now

Wil Bolton “Sumida Colours” is now available in store in digital format and cd.

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It’s an honour to present for the first time in the catalogue an artist I admire, Wil Bolton. I never thought that over the years I would introduce so many valuable musicians and this gives me deep gratitude for what is my greatest passion, music. 
Sumida Colors is the new work of the profiled London based artist, a nomadic soul that perfectly represents the range of sound colors that I intend to propose in the future. 
About the album Wil says: “Sumida Colours is centred around environmental recordings, a toy glockenspiel, bells and furin (wind chimes), all collected during a stay in Sumida-ku, Tokyo, the birthplace of Hokusai. 
The title track began by assigning six colours from the palette of Hokusai’s woodblock print ‘The Great Wave off Kanagawa’ to six notes of a musical scale. I then walked the streets of Sumida, taking a photograph each time I saw one of these colours in the details and textures of everyday scenery, and created a musical score from the order in which these colours appeared. “
I sincerely thank Wil for this beautiful gift and all those who will appreciate a work of refined beauty.

Thanks

KSND

Drop080521 – Mended

Recorded dawless except for the mastering process.

Sound equipment: fostex x18, tape loop cassette, electric piano, op1.
All recorded on a Tascam Model 12.

April reviews

Francesco Maria Narcisi “Voluta” in Ondarock
https://www.ondarock.it/recensioni/2021-francescomarianarcisi-voluta.htm

That Which Is Not “The basic sharpness of emotions” in EtherREAL
http://www.etherreal.com/spip.php?article6341

Pawel Pruski “Between” in Chain D.L.K.
https://www.chaindlk.com/reviews/11618

Ishmael Cormack “Fennec” in The Echo Room and Chill Music
https://echoroom.co.uk/2021/04/29/composer-ishmael-cormack-releases-strictly-ambient-album/
https://chillmusic.co/2021/04/29/ambient-music-composer-ishmael-cormack-releases-new-album/

Andrea Laudante “Banat Banat Ban Jai” in Ver Sacrum
https://www.versacrum.com/vs/2021/04/andrea-laudante-banat-banat-ban-jai.html

KS50 Available Now

Ishmael Cormack “Fennec” is now available in store in digital format.

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It’s a pleasure to have for the second time in the catalogue Ishmael Cormack who perfectly represents the sound line that I’m looking at for the future. 
Ishmael is a gentle soul and all of his works are little gems of pureness and minimalism. 
About the album he says: “This work is the result of my interest in Glet Masa’s artwork & my obsession with the word Fennec. It’s a simple work, in which I have tried to honour little moments.” 
Thanks to all who will enter into his world. Dedicated to all the fans of Federico Durand and 12k in general.

Thanks

KSND

Drop210421 – Cut

Recorded dawless except for the mastering process.

Sound equipment: acoustic guitar, ocean machine pedal, zoom h2n, op1, contact mic, fostex x18. All recorded on a Tascam Model 12.

inThoughts#3 – F. M. Gri

Mai come in questi ultimi mesi l’umanità non respirava un clima di divisione e diffidenza, come da tanto tempo non succedeva. I ricordi inevitabilmente vanno lì, in quel periodo storico folle che i nostri nonni ci hanno raccontato, storie che nel nostro immaginario apparivano irripetibili. E invece non è così, dobbiamo fare attenzione a non cascarci nuovamente. I recinti ci sono sempre, siano essi reali o mentali.

Tempo fa pubblicai un album chiamato Ghost Dreamers Town. L’album era la colonna sonora di un racconto che avevo scritto, una storia che parlava appunto di divisione…. Per chi avrà tempo e voglia di leggere questa è la prima parte.


Tempo fa un vecchio signore raccontò a un suo amico del satellite Titano descrivendo la pioggia di quel luogo lontano come una delle più belle meraviglie che la natura potesse regalare. Grazie alla sua atmosfera, simile alla nostra, ma più densa perché fatta di metano, disse, le gocce cadono a terra, lentamente, perfettamente sferiche come perle liquide. Pioggia di mercurio, pensai.
Senza interessarmi del fatto che quel signore avesse potuto inventare ogni singola parola della storia rimasi talmente affascinato e incantato da quella fotografia mentale che ancora oggi sogno di vivere prima o poi quello spettacolo travolgente….anche adesso che sono rimasto solo e, forse, l’ultimo sognatore di questo mondo.
Le giornate ormai scorrono monotone e il senso del tempo non esiste più da quando anche l’orologio del campanile si è fermato. Tutto da quel giorno é immobile. Il calendario in cucina é fermo a quella data, paralizzato come me, nuvola senza vento che non vuole dimenticare. 18 settembre 2016. L’inizio di tutto. E la fine di tutto.
Raccontare una storia nell’indifferenza mi conforta perché se ci fosse qualcuno ad ascoltare mi prenderebbe sicuramente per pazzo. Ormai la gente mi fa paura, preferisco il silenzio e la solitudine. Eppure una volta non era così…

Le persone erano in continuo movimento, un flusso ritmico di gente che usciva ed entrava da edifici di ogni dimensione ed età; la metropolitana spezzava in diagonale le armonie delle vecchie strade; rivoli di fumo uscivano dai camini delle timide abitazioni. File di case identiche descrivevano per centinaia di metri gli stessi gesti, come se l’ultima volesse in qualche modo imparare dalla prima, creando un gioco di rassicurante dilatazione. E in questo quadro dalle tinte seppia noi eravamo i passeggeri urbani, elementi unici che sapevano far risuonare la città in tutta la sua bellezza.
Un pianoforte senza corde é muto e noi eravamo quelle corde.
La Città dei Sognatori, così la chiamavano.Durante il giorno il paese si trasformava in una metropoli. Le persone arrivavano da ogni luogo: commercianti, turisti, curiosi, chiunque aveva un motivo per passare da noi almeno un giorno.

K era conosciuta per essere la città dell’arte, abitata quasi esclusivamente da artisti che con le loro creazioni regalavano colori e sogni a un mondo che ormai ne era orfano.
Noi i forestieri li chiamavamo automi, invece. Persone piatte, dallo sguardo spento arrivavano ogni giorno per trasformare le nostre opere e le nostre idee in business. Molti di loro si riconoscevano subito perché avevano una gelida corazza di indifferenza che li privava di ogni minima emozione; altri, invece, si mescolavano tra la folla senza molto successo. 
Connessioni…
Ricorderò sempre quel povero anziano, malato, caduto a terra, impaurito da rumorosi petardi. Nei suoi occhi il dolore riaffiorato da chissà quale ricordo lontano e l’indifferenza totale dei passanti, impassibili, vittime della loro quotidiana ricerca di fama, soldi e successo. Automi senz’anima felici del loro inconsapevole non essere, stagnanti in un coma cronico fatto di ego e falsità plasmato in ogni gesto come roccia granitica.
Di questa divisione io stavo nel mezzo, non ero né un artista né un automa, solo un sognatore. Non mi sono mai considerato speciale ma solamente fortunato per essere cresciuto in una città così particolare.

Mio padre invece era stato un famoso artigiano. Per tutta la vita costruì violoncelli, poi negli ultimi anni della sua esistenza iniziò a scolpire sul legno gli artisti più importanti di K. Diceva sempre che non c’era molta differenza tra costruire un violoncello e fare ritratti sul legno, la cosa fondamentale era calibrarne l’anima, diceva. Così fin da piccolo imparai ad affinare la sensibilità, a leggere tra le righe imparando non solo ad ascoltare ma a sentire.
Quando morì avevo 25 anni e una vita ancora da scolpire. Non sapevo ancora che un giorno, anche se a modo mio, avrei proseguito la strada che aveva iniziato.
Lavoravo per un piccolo giornale fuori città. Quando mi assunsero cercavano una persona che si dedicasse esclusivamente alla città di K, alle sue storie. Chi meglio di un abitante del luogo poteva ricoprire quel ruolo? Me la cavavo bene con la scrittura ma non avevo abbastanza talento per diventare uno scrittore. Mi mancava la pazzia visiva per poter creare personaggi, paesi e storie; non ne avevo le capacità e anche se per anni era stato motivo di frustrazione imparai col tempo a farmene una ragione. Penso che ogni persona abbia bisogno di un ruolo in questo mondo, anche pochi minuti di soddisfazione per dare senso alla propria esistenza; il tempo necessario per sentirsi utile e riemergere dalle innumerevoli ingiustizie che ci sotterrano, strati e strati di polvere che ci ricoprono cancellando la nostra essenza. Avrei potuto farla finita tanto tempo fa, ma se l’avessi fatto non avrei mai trovato il mio vero scopo.
Cammino lungo la spiaggia ascoltando il silenzio fondersi con la mia ombra disegnata sulla sabbia e ripenso a quel giorno. Ricordo nella metropolitana il riflesso del mio viso compiaciuto, soddisfatto per la giornata trascorsa. Avevo presentato un articolo che il capo aveva deciso di pubblicare; non ricordo nemmeno più di cosa parlasse. Se penso ora a quella stupida soddisfazione rido e un po’ mi vergogno capendo solamente adesso quali fossero realmente le mie priorità..

Ricordo i miei passi costanti per arrivare a K, il marciapiede pieno di artistiche figure e poi il silenzio. Un assordante silenzio. K era la stessa, identica nelle sue sfumature ma non aveva più suono. Ogni singolo abitante era sparito.
Non realizzai subito, la mattina seguente mi fu chiara la situazione, ma quella sera intuii una situazione talmente inverosimile da non dar retta alle mie sensazioni.
I miei occhi si aprirono e quel rumore assordante iniziò a penetrare le mie orecchie. Se per ogni cosa esiste una frequenza che può distruggerla, sicuramente quel silenzio avrebbe prima o poi distrutto la mia anima.
Uscii di casa e il nulla mi avvolse. Un deserto blu dalle tinte jazz creava un velo distorto come se Munch stesse dipingendo quella mattina di K. Malinconia. La mia città era diventata la città dei sognatori fantasma.
Con passi incerti cercavo conforto in ogni direzione ma quello che potevo vedere erano solamente porte chiuse, case in letargo e macchine senza vita. Ogni tanto qualche vecchia foglia danzava col vento, giocando in quell’infinita desolazione quasi a deridermi. Corsi dal mio vicino di casa Tom e suonai il campanello. Nulla. Dalla porta finestra sul retro vidi che nessuno era in casa ma la porta era chiusa dall’interno. Tutto sembrava non essere stato mosso, solamente un foglio a terra catturò la mia attenzione ma non riuscii e leggerne il contenuto.
Fu la prima volta che mi sentii così solo, triste ed impotente, incatenato. Corsi con le lacrime agli occhi per non so quanti chilometri, tutto sembrava ripetersi come un fotogramma inceppato; case immobili, pesanti automobili affondate nell’asfalto ed il silenzio ad accompagnarne i pensieri.
Capire per quale motivo una intera cittadina fosse sparita di punto in bianco, solo nella lucida interpretazione di un poeta poteva risultare affascinante, segno indelebile di una città unica, ma agli occhi di un mezzo giornalista come me risultò davvero inquietante e tutt’ora mi spaventa.
Tornai a casa in uno stato di instabile pazzia e cercai nella quotidianità casalinga una sorta di calore. Non chiamai nessuno, non cercai nessuno di K o di qualsiasi altro paese; non volevo sapere se il nulla avesse violato le vite di tutto il mondo o solamente la mia città. Ero paralizzato. Presi la mia bottiglia di Aberlour e cercai di non pensare a nulla, proprio come quando mio padre se ne andò. Non so il motivo dello strano collegamento ma iniziai a pensare a lui. Mi mancava e mi mancavano i suoi discorsi; sapeva sempre tranquillizzarmi. Non parlava molto ma le sue parole non erano mai scontate, non aveva bisogno di apparire, aveva una sua tranquillità interiore che lo rendeva speciale. Era il modello di persona che avrei voluto diventare.
Non ricordo quanto tempo passai a terra in totale apatia a fissare le bottiglie sempre più numerose riflettere timidamente il mio volto perso, ricordo solamente il sogno che mi diede la forza di reagire e di trovare una chiave di lettura a quell’incubo. E di questo devo ringraziare ancora una volta il mio vecchio padre. Era nel suo studio e stava incidendo qualcosa sul fondo di uno dei tanti violoncelli; mi avvicinai ma lui non riusciva a vedermi, aveva gli occhi tristi e i suoi occhi si riempivano di malinconia ogni volta che guardava la mia foto. Probabilmente ero morto nel sogno. “Avrei voluto essere un padre migliore”, questo aveva inciso nel legno. Mi svegliai. Per quale motivo avrebbe voluto essere un padre migliore? Quale ragione l’avrebbe spinto a mandarmi un messaggio del genere? Fu allora che mi alzai di scatto e corsi nuovamente dal mio vicino. C’era forse qualche messaggio su quel foglio a terra? Con un grosso sasso spaccai il vetro della porta finestra. Entrai e tutto sembrava perfettamente al suo posto: fotografie, libri appoggiati sul tavolo in sala, il telecomando riposto nel solito vano. Tutto era al suo posto eccetto Tom. Raccolsi il foglio a terra e lessi “nessuna pagina mi ha mai regalato la vita”. Allora capii.
Corsi fuori ed entrai allo stesso modo nella casa della signora accanto, non ricordo il suo nome perché era una persona molto riservata, ma sapevo essere una bravissima compositrice: “avrei voluto trovare le note perfette” era il suo messaggio.
Non so per quale motivo ma ogni sognatore aveva abbandonato la propria abitazione lasciando solamente un messaggio del suo più grande rimpianto. Li raccolsi uno ad uno custodendoli nella mia piccola borsa da viaggiatore. Ogni messaggio era l’ultima traccia di una persona speciale, una stella in meno da ammirare in un cielo sempre più nero, come luci lasciate morire nella più lunga e fredda notte d’inverno.

Allora trovai un senso. Scrivere le storie di tutte queste piccole meraviglie perché nessuno possa dimenticare il significato dei sogni e delle emozioni che solo loro hanno saputo regalare ed un giorno chissà poter rivedere la vita a K, magari un giorno, quando riusciremo a meritarcelo nuovamente.
Trovai il posto perfetto dove scrivere: una gigantesca opera creata da uno dei primi abitanti di K, l’architetto a cui la città deve tutta la sua bellezza grazie ai suoi progetti di innovativa poesia visiva. Era apparentemente una parete di cristallo ma la sua vera forma si riusciva a intravedere solo allontanandosi per chilometri e chilometri, un libro aperto dalle pagine ancora intonse che solo chi era fuori città poteva ammirare. Situata al centro della città rappresentava il simbolo del paese. Così il primo mattone di K divenne anche il suo epitaffio. Il cerchio stava per chiudersi. Presi allora il filo lasciato a terra, spezzato, lo legai al mio, ed iniziai così dall’unica persona al mondo a cui potessi dedicare un inizio: mio padre…