inThoughts#1 – Roberto Galati

Mi piacerebbe molto coinvolgere gli artisti che hanno collaborato con Krysalisound condividendo anche i loro pensieri e la loro arte nella lingua che preferiscono, senza barriere e freni. Conoscere il lato umano di un musicista è sempre più difficile in un mondo bombardato ogni giorno di nuova musica”.

Ho sinceramente apprezzato questo messaggio che ho ricevuto da Francis, mente e anima di Krysalisound.

Ho sempre cercato di abbinare musica, parole, e immagini. 

La musica scaturisce da qualcosa che ci emoziona e per alcune persone è quasi fisico il bisogno di esprimere queste emozioni. Ma quali sono? cosa ci spinge a esprimerle? quale vissuto c’è dietro a queste emozioni?

Nel mio caso è da circa dieci anni che in un mio blog esprimo con le parole ciò che in passato comunicavo solo attraverso i suoni. Attraverso le storie che scrivo, i luoghi che vedo, rifletto su aspetti della mia vita che forse non avrei considerato, o non mi sarei fermato a considerarli nel modo giusto. 

Lo scrivere mi aiuta a capire, ma è forse espressione del mio lato più razionale.

E’ con la musica che probabilmente mi sento più libero. Ciò che faccio con i suoni non è una riproduzione della realtà, una sua semplice descrizione. Sto provando a eliminare la distanza tra me e ciò che mi circonda; e far perdere me stesso nei luoghi che osservo.

Quando scrivo mi servo spesso di espressioni come ‘maestoso’, ‘grandioso’, ‘immenso’ per descrivere le emozioni che i paesaggi mi trasmettono. Do spazio al sentimento estetico, più sensazionalistico. Con la musica forse mi avvicino invece di più al mondo dell’inconscio; e forse inconsapevolmente è proprio attraverso la musica che desidero arrivare alla perdita del sé e all’identificazione nella natura, nel tutto.

Sono parole forse un po’ troppo importanti, ma riflettono un desiderio – difficile da raggiungere – che continuo a perseguire. 

Al rientro da uno dei miei viaggi avevo scritto questa frase:

“Quell’immensità ha continuato a vivere nei miei gesti, nelle mie azioni, nei miei pensieri, nelle mie parole. Si è lentamente depositata, si è posata in profondità, si è stemperata insieme ai diversi ingredienti della mia coscienza. Riemergendo e manifestandosi nel corso dei mesi successivi al viaggio quell’immensità mi ha rinnovato e rinvigorito; mi ha restituito l’immaginazione, l’ispirazione e la fantasia che col tempo si erano scolorite e indebolite. 

E’ diventata una necessità, un’attrazione irresistibile, per un intero anno ho vissuto di quell’immensità, l’ho rievocata instancabilmente con le parole, con la musica e con i pensieri. E’ seducente e richiama a se, e non so e non posso sottrarmi a essa, è puro magnetismo. 

Ho visto l’essenza della natura, senza interferenze; ciò che sono abituato a vedere tutti i giorni è una natura contraffatta, falsificata, alterata dall’uomo”. 

Mi piace osservare la maestosità della natura, percepire la sua enormità, la sua imponenza.

Sono alla ricerca di un rapporto profondo con il tempo e lo spazio. Non il tempo ricondotto al presente, concepito per soddisfare i bisogni effimeri del momento, ma il tempo lungo, necessario, quello in sintonia con le leggi congenite di questo mondo.

Questo sono io, o una parte di me.

Ci sono quei momenti che mentre li vivi hai la netta sensazione della loro unicità; sai che il loro ricordo prenderà un posto più alto rispetto agli altri, che emergerà in altre esperienze di vita.

Ho scelto alcuni brevi estratti dai miei racconti; sono descrizioni di alcuni di questi luoghi per me preziosi.

“L’isola di Uunartoq è una fuga da tutto. Qui non c’è spazio per scure riflessioni, non c’è un passato, un presente, un futuro. Il tempo si ferma. La sua piccola vasca di acqua termale è la porta per accedere al verde di questa terra, al suono degli iceberg che si sciolgono placidamente in acqua, all’alba sulle montagne innevate, alla natura nella sua accezione più ampia. 

E’ un luogo atipico anche la piccola casa gialla della famiglia inuit che cucina per me. Una carezza, un conforto che dona serenità. Realizzo di trovarmi in uno spazio senza tempo, lontano da tutto e vicino all’essenza delle cose. L’amore di una nonna, il sorriso di una bambina, una cena calda, l’ospitalità di un vecchio marinaio, il calore di una casa. Piccole cose, forse, ma vitali. E finalmente capisco: questa è l’essenza dell’isola. E’ sorprendente. C’è più umanità qui che altrove. E’ come se la natura imperante, apparentemente inospitale, avesse cristallizzato e preservato le cose semplici, innocenti, pure. Mi ritrovo meravigliosamente bambino. 

Le sobrie ed essenziali croci bianche all’interno di un recinto appena abbozzato, che incornicia il cimitero, evocano morigeratamente il senso della vita, il ritorno alla terra”. 

“La vegetazione affiora abbondante dalla superficie del lago. Orchidee e case sulle palafitte galleggiano leggere e non ne percepisco lo spessore e la loro profondità. L’impressione è che tutto sia abbozzato, o che sia confluito in un disegno tenue e inconsistente, aeriforme, un dipinto trasparente che descrive il movimento incorporeo e rallentato di un getto di vapore. Non si distingue quasi il limite del lago, che sfuma indefinito verso riva. Mercanti di frutta, di verdure e di fiori trasportano i loro prodotti sulle shikara. Un vociare rilassato annuncia l’avvicinarsi del mercato, fluttuante sull’acqua; in questo posto nulla si posa sulla terra. I mercanti barattano le proprie merci da una barca all’altra. 

Fronde di salici che cadono e si muovono nell’acqua, orti che galleggiano su terreni sospesi che sembrano barene, e riflessi di molteplici gradazioni di verde sono ulteriori elementi che caratterizzano questo luogo. Così come orchidee e fiori di loto che convivono in una inedita combinazione insieme ad abitazioni incurvate e a moschee galleggianti. Traggo beneficio da questo ambiente dall’atmosfera rarefatta e sognante, risvegliato del calore tenue delle prime luci del giorno. Me ne servo in abbondanza, per sentirmi vivo; assorbo, faccio scorta per il futuro. Lentamente, forse a malincuore per il timore di interrompere questo particolare momento, mi risveglio pure io e torno a terra”. 

“La vista si perde in una infinità di ghiacciai, appoggiati sulle cime dei rilievi; in una successione di macchie di colore che emergono dalle lastre bianche e che scendono a valle; nell’avvicendarsi di lunghe striature, verdi e marroni, lunghe pennellate diagonali date con impareggiabile maestria. E’ un paesaggio che si rincorre. Giro lo sguardo e cerco di catturarlo, ma è una successione di colori, tutto attorno a me, da far girare la testa. Mi trovo in un enorme spazio delimitato da alti rilievi che sembrano dipinti. Questa immensa valle sembra un luogo sacro. La sua essenza è contenuta nel monastero di Rangdum, appoggiato su un colle, che pare affiorare dalla vastità in cui è immerso. […] Poco distante dal monastero mi sdraio sul prato, costellato di stelle alpine e osservo i rilievi innevati che mi circondano. Sarà questo il mio letto questa notte; un cielo stellato a 3900 metri di altitudine. Sorrido e guardo le stelle cadenti, continue luci nel cielo. Mi accendo, mi sento vivo, e recupero il senso del mio lungo viaggio.”

“Osservo un’aquila che vola in cielo. La percezione che gli animali hanno del paesaggio non possiamo conoscerla; probabilmente per essi esiste solo un serie di riferimenti funzionali entro un territorio vitale. Come vedono il mondo possiamo saperlo soltanto prestando loro i nostri sensi e il nostro sentimento. Voglio ridiscendere dalle cime e osservare con i suoi occhi il tratto di strada che porta a Leh, voglio riaprire così gli occhi sul mondo. Voglio vedere me stesso, da lontano, salire sull’aereo per Nuova Delhi, e tornare poi a posare lo sguardo sulle alte vette dell’Himalaya.

Volo sopra un arco di terre limitato da catene montuose e verso l’interno da terre desertiche. Posso arrivare ad abbracciare con lo sguardo per intero questo panorama, sino a 400 km di distanza e oltre. Sento il freddo pungente dell’aria sul mio nuovo corpo. Lo spazio è esteso e non ci sono confini definiti intorno al paesaggio che conosco. La vista funziona da memoria e da riferimento delle altre percezioni, insostituibile per la percezione che ho dello spazio. Sui pendii innevati vedo orme di piccoli mammiferi, potrei seguirle per sapere dove sono, dove si nascondono, per cacciare. Proseguo e oltrepasso il limite della mia esperienza geografica di questo luogo; entro in un mondo inesplorato, mi sento invulnerabile, veloce nel volo e rapido nei movimenti. 

Sulla dorsale più alta che cinge una valle c’è un piccolo villaggio con le sue case tutte distese al sole lungo il versante che guarda a mezzogiorno. Il fondovalle è percorso da un grande fiume. E poi gli uomini, piccoli cortei di gente in prossimità di una città. Ero uno di loro pure io, un tempo. Ma avevo dimenticato l’essenza delle cose, il loro spettacolo perenne. La magia del mondo. Non sento vita spirituale adesso, assaporo il momento, l’attimo in cui vivo. Sento il cuore che pulsa. Non c’è razionale o irrazionale, c’è solo un libero abbandono a ciò che vedo, a ciò che sento. Eterni sono i miei movimenti, eterno questo attimo in cui batto le ali, eterno il mio atto di respirare. Ecco, qui c’è il «vivo».”

Ringrazio infinitamente Francis per avere deciso di dedicare questo spazio ai pensieri di chi fa parte del mondo Krysalisound.

Roberto

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